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Vino&Cambiamento Climatico, il caldo spinge i vigneti sempre più a nord e sempre più in alto, fino a 800 metri di quota per ritrovare il clima di 100 anni fa

Sulle conseguenze del cambiamento climatico e come affrontarlo, ne ha parlato l'Alleanza delle Cooperative Agroalimentari al convegno "Vigneti sostenibili per climi insostenibili". Tra i relatori Luca Mercalli ed Attilio Scienza. Al centro del dibattito ricerca, miglioramento genetico e contributo delle aziende in termini di sostenibilità.

Entro la fine di questo secolo la geografia del vino mondiale sarà inevitabilmente mutata. Oltre ad una riduzione delle superfici vitate, assisteremo ad una espansione dei vitigni in regioni o fasce altimetriche oggi considerate marginali o inadatte: è possibile stimare per la viticoltura mondiale un aumento di quota di circa 800 m e di 650 km di latitudine verso Nord. In molte regioni montuose è già iniziata la “corsa verso l'alto” dei vigneti. 

Sono queste le previsioni fatte dal presidente della Società Meteorologica italiana Luca Mercalli, intervenuto al convegno Vigneti sostenibili per climi insostenibili organizzato a Roma dall'Alleanza delle Cooperative Agroalimentari che raggruppa 320.000 viticoltori europei di Francia, Spagna e Italia che producono il 50% del vino europeo e il 25% del vino mondiale.

“La temperatura globale – ha spiegato Mercalli - è aumentata di circa un grado nell'ultimo secolo e di 1,5°C in Europa occidentale e nel Mediterraneo: è come se un vigneto trovasse oggi le stesse condizioni di cent’anni fa 250 metri più in alto e 200 km più a nord. L’aumento delle temperature entro la fine del secolo potrebbe arrivare fino a 5 °C in più, in caso di fallimento delle misure di riduzione delle emissioni di gas serra previste dall’Accordo di Parigi. Con questo scenario l’aumento di quota e lo spostamento di latitudine per i vigneti sarà inevitabile”.

Che il riscaldamento globale stia provocando già effetti importanti sull’agricoltura e in particolare sul comparto del vino lo dimostrano i dati vendemmiali dello scorso anno, con il forte calo produttivo fatto registrare dal nostro paese pari al 20% in meno rispetto al 2016, proprio a causa dell’impatto di alcuni fattori climatici dannosi come le gelate di aprile e la grande siccità verificatasi a partire da maggio.

Il calo della vendemmia ha riguardato anche altri paesi vicini come la Francia (-18% sul 2016) e la Spagna (-15%). Ed è per questo che la cooperazione vitivinicola di Italia, Francia e Spagna, che rappresenta 320mila viticoltori e produce circa il 50% del vino europeo e il 25% di quello mondiale, ha deciso di promuovere questo incontro per provare a iniziare a lavorare su più campi al fine di individuare possibili soluzioni al problema dei cambiamenti climatici.

Vendemmie anticipate, basse rese, ma non solo, secondo un analisi della Coldiretti in relazione alle previsioni di Mercalli sul rischio desertificazione, il surriscaldamento ha già cambiato il vino Made in Italy, che negli ultimi 30 anni ha visto il tasso alcolico crescere di un grado. Un processo che coinvolge direttamente la nostra Penisola con la Pianura Padana che nell’arco dei prossimi cento anni potrebbe diventare un deserto africano.

La ricerca scientifica.

Da un lato c’è sicuramente il ruolo della ricerca. I cambiamenti climatici hanno dato un forte impulso negli ultimi anni a progetti di miglioramento genetico dei vitigni per la resistenza alle malattie e di nuovi portinnesti con maggiore efficienza nei confronti degli stress ambientali. I risultati del primo ciclo di incroci, che vede l’Italia in vantaggio sugli altri Paesi europei, sono rappresentati dai 10 vitigni ottenuti dall’Università di Udine in collaborazione con IGA e con i Vivai Cooperativi Rauscedo che sono stati iscritti nel Registro Nazionale delle varietà autorizzate alla coltivazione.

“I risultati sul piano qualitativo e produttivo sono molto buoni”, ha spiegato nel suo intervento Attilio Scienza, dell’Università di Milano. “I vini ottenuti dai vigneti resistenti costituiti in Italia ed all’estero in questi ultimi anni hanno mostrato interessanti profili organolettici, comparabili con quelli dei vitigni europei di riferimento.”.

“Va però evidenziato – ha proseguito Scienza - come si stiano recentemente sviluppando approcci di ricerca più innovativi, con la creazione di nuovi portinnesti e di nuovi metodi della biologia molecolare, oltremodo vantaggiosi per superare i tempi molto lunghi necessari per il loro screening. I primi risultati sono rappresentati dalla iscrizione al Registro Nazionale dei Portinnesti autorizzati di quattro nuovi portinnesti della serie M, ottenuti dall’Università degli studi di Milano con la collaborazione della società Winegraft, che hanno evidenziato buone performances vegeto-produttive in molte condizioni di deprivazione idrica”.

Il contributo delle aziende e la sostenibilità ambientale. Il ruolo della genetica.

“Insieme alla ricerca, occorre che anche le aziende facciano la loro parte”, ha dichiarato la coordinatrice Vino dell’Alleanza delle cooperative Agroalimentari Ruenza Santandrea. “Bisogna proseguire spediti sulla strada della sostenibilità in vigna, partendo dalla prevenzione, nella lavorazione del terreno, o dalle pratiche agricole per ottenere grappoli meno attaccabili dalle malattie. La sostenibilità va quindi declinata in termini di risparmio idrico ed energetico ed attuando buone pratiche di lavorazione”.

Ciò perché, “se è vero che l’agricoltura deve continuare ad adempiere al suo ruolo di sfamare la popolazione del pianeta, deve farlo – ha spiegato Michele Morgante dell’Università di Udine - diminuendo il suo attuale impatto ambientale che è decisamente maggiore di quanto non tendiamo comunemente a pensare. Ecco perché occorre fare uso dei progressi scientifici e tecnologici per riuscire a diminuire l’impatto ambientale delle produzioni agricole e l’utilizzo di acqua, fertilizzanti, pesticidi”.

“Oggi – ha concluso il professor Morgante - stiamo individuando i geni che aiutano le piante a meglio utilizzare l’acqua e i fertilizzanti e a proteggersi allo stesso tempo dagli agenti patogeni. Le nuove tecnologie di miglioramento genetico possono aiutarci a tradurre rapidamente questa conoscenza in nuove varietà che ci aiutino ad affrontare la grande sfida che ci attende del cambiamento climatico”.

Le prime ipotesi sulla vendemmia 2018

Per una primissima previsione sulla vendemmia 2018, “la prudenza è d’obbligo”, chiarisce Santandrea, “ma fortunatamente a partire dalla fine di febbraio si sono registrate condizioni meteorologiche più consone a un normale ciclo di sviluppo della vite, con l’abbassamento delle temperature che ha impedito alla vite di risvegliarsi anticipatamente. Auspichiamo una vendemmia di quantità superiore allo scorso anno, ma inferiore in ogni caso al raccolto 2016 per effetto di una parziale riduzione della fertilità media indotta dal colpo di calore subito in estate”.

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