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Pino Ratto e il Dolcetto di Ovada

Addio a Pino Ratto, il vignaiolo geniale che trasformò il Dolcetto in un’opera d’arte
Il produttore che “sussurrava al vino” è morto questa notte, consumato dalla vecchiaia. Era conosciuto per i modi rudi, il temperamento anarchico, ma anche la grande cultura jazzistica



Era genio e sregolatezza, un anarchico del vino, produttore puro e impavido nel condannare certe astuzie del settore come la “vendemmia verde” che non esitò a giudicare “una colossale truffa”: Giuseppe Ratto, conosciuto come “Pino”, è morto questa notte, consumato dalla vecchiaia. Viveva nella sua cascina di San Lorenzo, eremo a cavallo tra Ovada e Roccagrimalda, da dove dominava i suoi 17 ettari di vigneti. Era il “re” del Dolcetto. E avrebbe compiuto 80 anni il prossimo settembre.

Laureato in Farmacia, esercitò la professione a Genova per molti anni prima di seguire la sua vocazione di vignaiolo. Definizione che in realtà per Pino Ratto risulta riduttiva. Tanto che gliene forgiò una ad hoc, l’enologo Luigi Veronelli nella sua guida “Vignaioli storici”: “Ratto è l’uomo di frontiera che sa sperimentare, rispettando la sacralità della tradizione”.

La sua grande passione era il Dolcetto, che lui trattava come un’opera d’arte. Perché Pino era anche, e soprattutto, un intellettuale. Amava il jazz, suonava il clarinetto (anche con il grande Joséphine Baker), aveva fatto parte di grandi orchestre e la sua casa in passato era stata covo dell’intellighenzia del vino: si beveva, con le note di sottofondo.

Gli Scarsi, le Olive sono i suoi due crù, due dolcetto capolavoro, capaci di invecchiare per decenni, ma il suo nome è anche associato al Braquette e di questo vino ricordava sempre che il metodo di vinificazione altro non era che quello adottato da un suo antenato, cantiniere degli Spinola, che con l’andare del tempo si era però perso e che lui aveva riscoperto e fatto rivivere.

Negli anni Novanta è stato anche vicepresidente provinciale della Cia.  

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