"Cin Cin" con lo Spumante Italiano, un brindisi per celebrare l’anno che verrà
Cin Cin, tintinnio di cristalli, in alto i calici spumeggianti, volti che sorridono felici, e lentamente ecco salire festosa la colonna liberatoria delle bollicine
<Libiamo, libiamo ne' lieti calici, che la bellezza infiora; e la fuggevol, fuggevol ora s'inebri a voluttà.>
<Libiamo, libiamo ne' lieti calici, che la bellezza infiora; e la fuggevol, fuggevol ora s'inebri a voluttà.>
Il modo di dire più diffuso durante il brindisi è sicuramente “cin cin”, un detto di origine cinese,
precisamente degli abitanti della costa di Canton, che venne poi introdotto dai
marinai europei nel nostro continente; pare proprio che a fare ciò siano stati
gli Ufficiali di Sua Maestà Britannica.
Il termine originale è “ch’ing ch’ing” (prego, prego) poi
tramutato in “chin chin” dai naviganti e commercianti soprattutto in Età
Vittoriana. Il termine è stato subito ben accolto nella lingua italiana perché
onomatopeico: riporta immediatamente al suono dei calici o bicchieri che
tintinnano tra loro.
Nella lingua cinese in uso oggi “ch’ing ch’ing” significa
“bacio”: metaforicamente potremmo dire che il tocco dei bicchieri è il bacio
che ci si scambia in onore di qualcosa o qualcuno bevendo in compagnia di
amici.
<Libiam ne' dolci fremiti che
suscita l'amore, poiché quell'occhio al core onnipotente va. Libiamo, amore,
amor fra i calici più caldi baci avrà.>
Da sempre compagno ideale dei nostri brindisi, lo spumante
che oggi conosciamo, nasce da un lungo e graduale processo di perfezionamento, che passa per alcune fasi di messa a punto della tecnica: dalla bottiglia in
vetro resistente, al sistema di chiusura in sughero, fino all'acquisizione delle
conoscenze di microbiologia e della fermentazione alcolica della metà
dell’ottocento.
Un processo che si è sviluppato in più fasi grazie a diversi
contributi un po’ in tutta Europa: la storia dei vini spumanti o frizzanti non
è dunque legata ad un singolo ideatore (come alcune leggende sostengono) ma
alla storia stessa del vino di cui in qualche modo condivide la longevità.
Se testimonianze archeologiche dimostrano che i romani
consumavano vini frizzanti sotto il nome di Aigleucos ed Acinatici è il
Rinascimento italiano il momento storico di riferimento per la nostra
tradizione spumantistica. Una grande fioritura editoriale, dalla seconda metà
del ‘500 ai primi decenni del ‘600 testimonia la grande passione in quei secoli
per i vini frizzanti antesignani dei moderni spumanti.
Nonostante molti attribuiscano all'abate Dom Pérignon la
creazione del primo Champagne, il professor Attilio Scienza
nel suo “Atlante degli Spumanti d’Italia” afferma che il primo Champagne sia
nato quasi per caso a Londra alla fine del 1600. A quel tempo il vino proveniva
dai vigneti intorno a Parigi ed arrivava in fusti a Londra, dove veniva
imbottigliato con l’aggiunta di chiodi di garofano, cannella e molto zucchero
per ridurne l’elevata acidità.
In bottiglia il vino subiva quindi una seconda fermentazione che lo
rendeva frizzante, vennero così utilizzate delle bottiglie di vetro pesante (il
brevetto risale al 1662) ed i tappi di
sughero, mentre il loro utilizzo nella regione francese della Champagne risale
a circa 40 anni più tardi.
Ciò nonostante, il mito dello Champagne sul panorama
mondiale ha oscurato quello di qualunque altro vino, tanto che la Comunità
Europea ha stabilito che a partire dal 31 Agosto 1994 il metodo di
vinificazione Champenois (letteralmente: “della Champagne”) può essere menzionato solo sulle bottiglie di vino prodotte
nella Champagne, regione a 150 km a nord-est di Parigi. Per tale ragione, gli
spumanti prodotti in Italia possono riportare sulla bottiglia solo la menzione
“Metodo Classico”.
Il pioniere della spumantizzazione con il Metodo Classico in
Italia fu Carlo Gancia, nato nel 1829 e studente di chimica e farmacia quando
decise di trasferirsi a Reims, capoluogo della regione della Champagne, per
apprendere l’arte della produzione del magico vino con le bollicine.
Dopo essersi fatto assumere come operaio dalla Maison
Piper-Heidsieck, già nota all’epoca per le sue forniture di champagne a diverse
casate reali, conquistò in pochi anni il titolo di esperto. Gancia decise
quindi di tornare in Piemonte, nella sua Canelli, per sperimentare le tecniche
apprese nella Champagne sui locali vini rossi amabili.
Nel 1850 poi, a soli ventuno anni, assieme al fratello
Edoardo prese in affitto una cantina nei pressi della stazione di Chivasso e
cominciò a sperimentare l’utilizzo del metodo champenoise sul vino ottenuto
dall’uva bianca Moscato.
Già nel 1861 la giovanissima “Casa Gancia” produsse il
primo “Moscato Champagne” vinificato con il Metodo Classico.
Qualche anno dopo Giulio Ferrari, noto ed apprezzato enologo
che vantava studi a Montpellier, in Francia, diede vita al primo spumante
trentino, importando per primo delle barbatelle di uve dalla regione della
Champagne.
Addirittura al 1899 risale la prima pubblicità che promuoveva uno spumante prodotto nel trentino, per la precisione lo Champagne
Valentini di Calliano, borgo a metà strada fra Trento e Rovereto. Il manifesto
recitava: “Venne giudicato da persone competenti uno dei migliori, superando
quello di molte marche, che a prezzo anche superiore, viene fabbricato in
Austria” ed indicava il nome del distributore in “Cesare Battisti, Trento”.
Tutti gli indizi fanno pensare che possa trattarsi dell’eroe
nazionale nato in trentino, che tra le altre cose si occupò anche di scrivere
delle guide enologiche.
I suoi genitori inoltre gestivano una drogheria a
Trento dove negli anni ’20 lavorò Bruno Lunelli, capostipite della famiglia che
ancora oggi produce gli spumanti Ferrari.
Ad ogni modo, anche se accettiamo di considerare i primi
vinificatori italiani di spumanti prodotti con il Metodo Classico come allievi
dei cugini d’oltralpe, possiamo senza dubbio affermare che ormai i maestri
della Champagne sono stati eguagliati e forse anche superati.
Le bollicine italiane oggi vanno fortissimo. Nel 2011 la
produzione ha raggiunto i 380 milioni di bottiglie, e siamo secondi solo alla
Francia. La crescita del comparto tricolore è veloce e costante. Il moderato
grado alcolico e l’ecletticità delle occasioni di consumo, hanno giocato
sicuramente un ruolo importante, ma è sicuramente l’elevato livello qualitativo
raggiunto dai nostri produttori - e questo vale tanto per il Metodo Classico
quanto per il Metodo Italiano - e il
buon rapporto qualità-prezzo, siano le chiavi di questo straordinario successo.
E così eccoci a primeggiare nell'export grazie a una scelta
molto più vasta. In pressoché tutte le regioni d’Italia diversi produttori sono
in grado di produrre ottimi spumanti Metodo Classico a partire dagli uvaggi più
disparati, un’incredibile varietà di colori, con i mille vitigni della
tradizione, autoctoni, e con i classici vitigni internazionali.
Partendo dalle zone di tradizione con le dolci bollicine
dell’Asti in primis e a seguire il super gettonato Valdobbiadene Superiore, ora
Docg e Prosecco Doc, per poi passare al Metodo Classico Piemontese Alta Langa, al rinomato Franciacorta e a
seguire Il Trento Doc e Oltrepò Pavese. Ottime bollicine si producono ormai in
ogni regione d’Italia, dalle vallate alpine della Val D’Aosta, alle pendici
dell’Etna alla Gallura.
Per il vostro brindisi di fine anno e per tutte le occasioni
da celebrare nel nuovo anno, quindi, raccontate pure a parenti ed amici un po’
di storia dello spumante ma, soprattutto, scegliete ad occhi chiusi uno
spumante Italiano: le bollicine di qualità.
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