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Il vino bio

Il vino bio: dibattito in fiamme, affari in crescita ...

L’ultimo, clamoroso caso, riguarda un prestigioso Chateaux del Bordeaux, Francia: nella Aoc Lussac-Saint-Emilion, un produttore avrebbe usato il carbone enologico per il suo vino oltre il limite consentito. Esattamente sono 230 ettolitri quelli incriminati.


Alcuni sono stati venduti sfusi come Aoc Lussac-Saint-Emiion, il resto imbottigliato. A destare il sospetto, e quindi l’intervento degli agenti antifrode, sono state alcune ricevute di acquisto della sostanza in un periodo dell’anno insolito e in una quantità ben superiore a quella necessaria e utilizzata normalmente in cantina.

Il produttore è stato sanzionato con una multa di 5mila euro e una sospensione dell’attività per 5mila euro secondo quanto riporta la rivista Decanter. Il carbone enologico ha proprietà decoloranti soprattutto per i mosti bianchi protegge dalle contaminazioni o viene utilizzato per eliminare alcuni difetti dei mosti alterati da funghi. naturale, una moda o una necessità? “I vini naturali sono la più grande truffa rifilata ai consumatori” sostiene da anni Robert Parker guru americano della critica enologica alla guida di WineAdvocate. In rete si rincorrono commenti e dibattiti non c’è blog che non ospiti una sezione su questo tema. 

Feiring, giornalista e blogger, collabora con il New York Times. La versione fricchettona di Jansin Robinson, la chiamano, per le sue battaglie a favore dei vini naturali in questo suo ultimo lavoro punta il dito contro gli interessi del le multinazionali che spingono per vendere i loro miracolosi ritrovati.

Si possono aggiungere fino a 40 additivi nei vini ha contabilizzato VinNatur, l’associazione dei vini al naturale, che anche quest’anno organizza il festival di settore a Villa La Favorita di Sarego.

Altro appuntamento in contemporanea,Summa 13, organizzato da Alois Lageder, produttore biodinamico, a Magrè, Bolzano. Trucioli, acidi, gomma arabica, carbone: il mercato è invaso dal vino Lego. Il vino che si monta con tanti diversi mattoncini: un po’ di tannino, meno zuccheri, più legno e tanta fantasia.

Costruito a tavolino, nei grandi stabilimenti industriali, e non importa né dove né come è cresciuta l’uva. Né dove lo si fa. Basta l’etichetta, magari di provenienza italiana, e poi lo si manda in giro per il mondo. Venduto a due soldi alle giovani generazioni che ancora devono affinare il palato.

Ma fare chiarezza, in questo settore, non è facile. I confini si intrecciano. Per il vino bio, a marzo dello scorso anno è stato introdotto un regolamento Ue che consente di parlare di vino biologico e non più solo di vino da uve coltivate in modo biologico e regolamenta anche le pratiche di cantina.

Ma oramai è invalso l’uso di utilizzare la definizione più generale di “vino naturale” che è stata elaborata dai produttori per provare a far capire al consumatore che il proprio modo di lavorare è diverso da quello di chi, per mettersi al riparo da rischi, utilizza prodotti di sintesi nel vigneto e aiuta le varie fasi di vinificazione con prodotti enologici.

Ma la confusione è ancora tanta. Basti dire che la Lailemand, multinazionale di prodotti per la vinificazione vanta una linea di lieviti certificati “biologici”, oltre a una serie di batteri di origine naturale etc. Difficile segnare un confine tra pratiche buone pratiche cattive. Una cosa è certa: più il dibattito si infiamma, più il mercato cresce.

Negli Usa, secondo What’s hot, indagine condotta tra oltre 1800 chef della Federazione Culinaria Americana, i prodotti biologici sono stati definiti la tendenza di maggior successo del 2010 nel settore della ristorazione e il vino biologico è tra questi.

Ma il trend più rilevante è che tanto glia addetti ai lavori quanto i consumatori hanno capito che bio non è solo più sano e sostenibile, bensì uno standard di prodotto sia in termini di qualità che di sapore.

L’hanno capito anche i critici delle guide, che cominciano a guardare con interesse alle etichette bio. Crescono le vendite. crescono i produttori. Secondo i dati di Federbio, la viticoltura mondiale bio è balzata da 68.380 ettari del 2000 ai 217.634 nel 2010, per la maggior parte in Europa.

E l’Italia è al primo posto per aree vitate, al terzo per quelle in conversione.

Fonte:  Affari&Finanza-La Repubblica

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