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Il Dolcetto e le Langhe


<Prima di incontrarlo d'estate e d'autunno tra i boschi in caccia alle bisce, è indispensabile fare conoscenza con quella sua terra, quella campagna, quelle vigne, quelle colline, quelle Langhe>.


Così lo scrittore Davide Lajolo ricordava i suoi incontri con Cesare Pavese. Senza vivere e viaggiare lungo i bassi crinali delle colline è infatti impossibile comprendere questo territorio d'elezione di grandi vini ma anche crogiuolo di storie, di fatti e di uomini, che meritano sempre di essere conosciuti e raccontati.

Ma parlare delle Langhe oggi significa anche ricordare quelle...colline su cui prospera stupendo il vigneto, disseminate di castelli, e di aspetto feudale. Vengono incontro con dolcezza, ma l’impressione di dolcezza dura un minuto. Guardandole bene si scorge, come di trasparenza, il loro fondo bianco, eroso, franoso. La loro attrattiva si accresce quanto più si precisa il fondo duro, violento, ma dissimulato da un velo di dolcezza superficiale.

Ecco come il giornalista Guido Piovene, descriveva il paesaggio delle Langhe negli anni Cinquanta nel suo "Viaggio in Italia". Erano gli ultimi strascichi di quella “malora” che per secoli aveva dominato la vita dei contadini: fame e miseria atavica, giornate scandite da un lavoro stremante i cui frutti erano alla totale mercé dei capricci del tempo, piogge o arsura che fossero. I luccichii dell’improvvisa industrializzazione italiana svuotavano le cascine e richiamavano i giovani verso le città e il successo che parevano garantire. Il boom, però stava per scoppiare anche nei campi.

Negli anni Settanta, e ancora più negli Ottanta, fare vino non fu più solo fatica e soddisfazione personale, ma divenne via via e per la prima volta attività profittevole e prestigiosa. Molti di quei figli di contadini che avevano cercato riscatto economico nelle fabbriche ritornarono sui terreni di famiglia per costruire tra i filari e nelle botti dei tesori che dessero sicurezza al loro futuro, cosicchè rapidamente la realtà sociale ed economica delle Langhe mutò.

Come notò Mario Soldati nel suo "Vino al vino" del 1975 <Qui tutto ruota attorno al vino. Non sono gli abitanti della zona che monopolizzano un loro prodotto. È il prodotto della zona che monopolizza i suoi abitanti>.

In questa regione il vino non è solo alimento o piacere del gusto, ma è anche fondamento della socialità è emozione per una storia che si perpetua e si rinnova in ogni bottiglia. La convivenza sociale e i valori delle genti di Langa non prescindono mai dalle tentazioni e dalle suggestioni che evoca il loro vino.

Insieme alla Barbera, il Dolcetto è quello che forse esprime di più quell'anima contadina che tanto emerge da queste terre. Il Dolcetto è tra i vitigni autoctoni piemontesi più tipici ed è coltivato in varia misura un po’ ovunque nella regione. Predilige terreni calcarei marnosi su colline fra i 250 ed i 600 m.s.l.m., ma riesce a maturare anche oltre i 700. La sua culla ideale è la Langa. Per secoli questa varietà di vite a bacca nera ha condiviso le fortune e le miserie della gente di campagna.

Pur non essendo una pianta particolarmente vigorosa o resistente alle difficoltà e alle malattie, infatti, il Dolcetto ha sempre saputo offrire ai viticoltori i frutti dolci e maturi per la tavola, adatti anche per produrre una speciale marmellata (la cognà e, soprattutto, materia prima per un vino dai caratteri schietti e semplici.

Il nome del vitigno deriva dalla particolare dolcezza della polpa dell’uva, ma i vini che se ne ricavano sono esclusivamente asciutti e decisamente secchi, caratterizzati da una modesta acidità e da un piacevole retrogusto amarognolo.

A seconda della zona di coltivazione e del tipo di vinificazione, il Dolcetto dà origine a vini freschi e beverini, che si accompagnano alla tavola quotidiana grazie alla loro morbidezza, alla freschezza del gusto e alla capacità di adattarsi a molti cibi diversi; oppure a vini di forma più evoluta, di corpo e struttura, capaci di invecchiare fino a sei-sette anni grazie al sapiente lavoro in vigna e a una corretta gestione in cantina da parte dei produttori.

Di questo vino la legislazione prevede la bellezza di 12 Denominazioni, 7 D.O.C. e 1 D.O.C.G. storiche e 4 D.O.C. di territorio, più recenti.

Queste sono le 7 D.O.C. storiche:
 
Dolcetto d’Alba,
Dolcetto di Dogliani,
Dolcetto di Diano d’Alba,
Dolcetto delle Langhe Monregalesi
Dolcetto d’Asti,
Dolcetto d’Acqui,
Dolcetto d’Ovada.

A queste si sono aggiunte altre 4 D.O.C.: 

Langhe Dolcetto,
Monferrato Dolcetto,
Colli Tortonesi Dolcetto,
Pinerolese Dolcetto.

E questa la D.O.C.G.:

Dolcetto di Dogliani Superiore o Dogliani

Tra il Dolcetto e la zona di Dogliani esiste tradizionalmente una relazione molto forte. Portavoce di questo legame è stato il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, il quale ha saputo creare stimoli determinanti per la valorizzazione e l’affermazione del vino della sua regione natale.

Il Dogliani, tipologia Superiore del Dolcetto di Dogliani sottoposta a un anno di invecchiamento, rappresenta il vertice qualitativo del Dolcetto.

L’impegno dei produttori in favore della qualità è stato riconosciuto con il passaggio, nell’anno 2005, alla denominazione di origine controllata e garantita. Il vino può essere identificato con il semplice nome geografico di provenienza: Dogliani.

Il Dogliani ha colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, profumo intenso di fiori e frutti freschi come la mora e la ciliegia selvatica, sapore secco e armonico, con un piacevole retrogusto finemente ammandorlato e fragrante; l’acidità moderata regala un tocco di singolare vivacità.

A Dogliani paese esiste una ottima Bottega comunale per aiutare i visitatori nella scoperta dei vini e del territorio.

Il Dolcetto di Diano d’Alba corrisponde all’intero territorio di un solo piccolo Comune a sud di Alba, allungato su una collina a 500 metri s.l.m.

La predilezione dei produttori di Diano per questo vitigno e l’esperienza tramandata nelle generazioni ha individuato nel tempo così bene le posizioni migliori per i vigneti, che è stato possibile delimitarle con precisione fin dal 1986, attraverso la pubblicazione da parte dell’amministrazione comunale della mappa delle aree per l’attribuzione della menzione del nome di vigneto.

Queste aree, le più vocate alla viticoltura, si chiamano sörì che in dialetto piemontese sta per “luogo ben esposto”.

Il vino Diano d’Alba ha un colore rosso rubino intenso con giovanili riflessi violacei, profumo fragrante e fruttato, marcato di ciliegia marasca e a volte di mora o confettura, sapore secco, nervoso, asciutto, piacevolmente influenzato da un retrogusto varietale di mandorla amara che stimola il palato. Possiede alcuni tratti aromatici, tra cui il geraniolo, che lo rendono piacevole da giovane e ha la forza di un medio invecchiamento. Con un invecchiamento di almeno 18 mesi lo si può esibire nella tipologia “Superiore”. Luigi Veronelli lo aveva messo tra i vini che più amava.

Tra tutte le denominazioni Dolcetto, che in Piemonte sono ormai tredici, quella di Alba è la più conosciuta e la più consistente in termini di bottiglie prodotte ogni anno. A tavola il Dolcetto d’Alba ribadisce i caratteri della fragranza e della gioventù un colore rubino e violetto, un profumo fresco e decisamente fruttato, un sapore totalmente secco, pieno e armonico che si completa in un piacevole retrogusto di mandorla amara.

Il Consorzio ha avviato un lavoro di zonazione per valorizzare aree diverse particolarmente prestigiose che negli ultimi anni stanno avendo successo sulle etichette delle principali aziende. Si divide comunque in due fasce principali che sono i territori verso la zona del Barolo e quelli che partono da Alba per salire verso la Valle Belbo dove la struttura geologica origina Dolcetti più fini e leggeri.

In Alta langa si arriva a Cortemilia dove il Dolcetto colonizzava un tempo i terrazzamenti in pietra e dove alcuni vigneti rimasti si sono organizzati in un Dolcetto dei Terrazzamenti che si è dato una propria Associazione.

È un vino apprezzato soprattutto nell’Italia del Nord-Ovest dove se ne consuma l’80% ma meriterebbe più estese fortune rese difficili dal nome (che comporta a volte fraintendimenti) e dall’appartenere ad una tipologia che ha parecchi concorrenti sui mercati internazionali.

Prendo in considerazione due tipoligie di Dolcetto che sono due differenti espressioni di questo territorio. 

Questa prestigiosa firma di Langa non ha bisogno di presentazioni. Nasce nel 1897, quando il giovane Luigi Einaudi acquista la settecentesca Cascina San Giacomo. Oggi il giovane Matteo Sardagna Einaudi possiede 11 cascine e più di 50 ettari di vigneto. Nonostante siano entrati a far parte della gamma aziendale vini come il Barolo, la famiglia è molto legata a Dogliani e al suo Dolcetto.

Il 2011 che, con circa 130mila bottiglie, copre la metà dell'intera produzione annua, è semplicemente la migliore versione di sempre.


Questa bottiglia vi offre un dolcetto classico, con tutta la freschezza dell’imbottigliamento primaverile. Affinato in acciaio per circa 8 mesi, è un ottimo vino da tutto pasto: dagli antipasti caldi ai primi piatti (paste, polente, minestre) fino ai secondi di carne bianca. 

E’ un’antica tradizione offrire, per uno spuntino, il dolcetto con il salame e la tuma di Langa (formaggio semistagionato di latte di pecora e capra).

Una curiosità: negli anni Venti e Trenta del Novecento i grappoli di Dolcetto erano spesso impiegati nella cosiddetta cura dell’uva, per il sapore delicato e per il basso contenuto di acidi e tannini.

Le uve Dolcetto, infatti, hanno proprietà rimineralizzanti, depurative, diuretiche, lassative e decongestionanti per il fegato in quanto facilitano il drenaggio epatico.

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